Quando sulla nave compare, durante la sua lecture, Afghan Girl, l’immagine pluripremiata della ragazza dagli occhi verde ghiaccio, esplode l’ovazione e molti realizzano che quel signore minuto, silenzioso e sorridente che si aggirava sulla nave sempre in pantaloni lunghi e camicia, in realtà è “quello” Steve McCurry, uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea.

Durante la crociera alle Galapagos non solo abbiamo avuto l’onore di avere in esclusiva il suo reportage per Dove (il servizio è stato pubblicato sul numero di agosto e sul nostro sito, ndr), ma abbiamo vissuto con lui la costruzione della storia. In barca e passeggiate per capire come nasce un suo racconto. A 69 anni l’energia che muove lo sguardo di McCurry alle Galapagos deve essere la stessa di quella del fotoreporter di guerra, di un uomo che è stato più di 60 volte in India e dove ad aprile era felice di ritornare, dopo un salto a Berlino e Madrid. Da due anni collabora con Silversea sulle rotte di tutto il mondo per documentare con la sua arte le esperienze di questi viaggi. E questo gli dona la libertà di sentirsi, come ci spiega, “solo” un fotografo.

Certo, dopo il matrimonio la sua vita è cambiata e cerca di tenere più che può la famiglia con sé. Sulla Silver Galapagos lo abbiamo visto rincorrere la piccola Lucia di due anni, insieme alla dolcissima moglie Andie Belone, nativa americana. “Quando Lucia andrà a scuola sarà tutto diverso, ma per ora ha già fatto con noi il giro del mondo e mi sta regalando un orizzonte di ricerca più intimo, più personale”. Questo è il suo secondo viaggio nelle Galapagos, perché tornarci? “Perché è una bellissima sfida. È difficile fotografare gli animali, cogliere il loro sguardo…”. E il pensiero corre agli incredibili ritratti di uomini e donne, firma inconfondibile del grande reporter. “Gli animali tentano di mostrarti la loro personalità, ma devi cogliere l’attimo. E per farlo devi saper aspettare. Vale per gli esseri umani: se sai attendere, le persone si dimenticano della tua macchina fotografica e la loro anima esce allo scoperto. È così anche per gli animali, ma è davvero tutto più complicato”

Siamo testimoni di questi momenti, di un’assoluta pazienza zen che McCurry mette in scena sul set. In piedi sullo Zodiac traballante, alle sette del mattino con un sole già infuocato, eccolo immobile, in silenzio, con la sua macchina fotografica chiusa nello zaino. Così, per venti minuti, teso ad osservare uno scoglio. Poi, improvvisamente, il momento arriva: afferra l’obbiettivo e scatta. Tre o quattro foto, non di più. E chiede di spostare la barca di qualche metro,  lentamente… Ma nella sosta successiva lo zaino rimane chiuso. Non cambia la trama sulla spiaggia con un pellicano appollaiato sullo scoglio. “Aspetto solo che la foto si componga, tutto qui”.

Nella semplicità di queste parole si cela la genialità dell’artista, appassionato di Henri Cartier-Bresson come, nel piccolo gesto di accettare un cellulare di una ragazza per una foto ricordo, si nasconde un cuore genuino. Scaldato dalla recente paternità. Si illumina quando parla di Lucia, che sa di buono e futuro, come i suoi occhi vivacissimi che non si abbassano mai mentre ti parla. Laureato in cinematografia e appassionato di film, lavora senza rimpiangere l’età dell’oro del grande fotogiornalismo, dei newsmagazine. Trova naturale essere circondato da cellulari che pubblicano miliardi di immagini al secondo, vive sereno nell’era digitale: ha un profilo Instagram, con 2,7 milioni di follower, che sembra una mostra permanente, un sito e ora anche un nuovo blog stevemccurry.com. Certo, i ragazzi del suo studio a New York lo aiutano e lo seguono. E chissà quanti nel mondo lo vorrebbero come maestro. Per ora, però, la cattedra è lontana. “No, non ho tempo, ho ancora molte storie da raccontare. Molti viaggi da fare. A proposito, domani alle sei si scende. Puntuali”. L’attimo non può attendere.

Fonte : https://viaggi.corriere.it/eventi/intervista-steve-mccurry-galapagos/